Tutti i progetti di Human Hall

INDICE DI INCLUSIONE

Questo progetto mira a creare un percorso che guidi le organizzazioni verso la certificazione di parità di genere e le accompagni nella costruzione di una cultura inclusiva, alla luce delle indicazioni della legge n.162 del 2021.

Un team di comparatisti si propone inoltre di effettuare una ricerca comparata per comprendere come sono stati utilizzati gli indicatori di parità in altri Paesi europei.

TEAM

I NOSTRI PARTNER

Associazioni, enti culturali, fondazioni, aziende che supportano il progetto Human Hall

Cosa facciamo

IL PROGETTO IN SINTESI

INIZIATIVE

CERTIFICARE LA PARITÀ DI GENERE PER UNA TRANSIZIONE INCLUSIVA

PARLA MARILISA D’AMICO – Prorettrice alla Terza Missione e alle Pari Opportunità

Quali le novità emerse con la legge 162/2021?

Le novità introdotte dalla legge 162 del 2021 interessano, in primo luogo, la certificazione di genere. Si tratta di un istituto “premiale”, previsto all’articolo 4, che interessa le aziende, pubbliche e private, a prescindere dalla dimensione della stessa organizzazione.

In secondo luogo, la legge ha introdotto l’obbligo per le aziende pubbliche e private con più di 50 dipendenti di redigere, con cadenza biennale, un rapporto – sottoposto a pubblicazione in ragione della necessità di procedere al più alto grado di diffusione della trasparenza – sulla situazione del personale maschile e femminile.

La legge in questione conosce un’importante forma di attuazione nelle “Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere che prevede l’adozione di specifici KPI (Key Performances Indicator – Indicatori chiave di prestazione) inerenti alle Politiche di Parità di genere nelle organizzazioni”, che delineano i requisiti necessari per accedere alla certificazione di genere.

Quali gli step previsti in un percorso che accompagna la creazione di una certificazione di genere?

Affinché le aziende, pubbliche e private, possano accedere con successo alla certificazione di genere, è necessario che le stesse sperimentino una reale transizione inclusiva. Un cambiamento che possa dirsi “certificabile” e quindi pienamente aderente a quanto prescritto dalle linee guida di riferimento deve potersi fondare su una strategia di gestione, un piano di sviluppo e una comunicazione pienamente aderente al rispetto della parità di genere.

Naturalmente, un buon monitoraggio delle pratiche deve ritenersi strutturale alle azioni appena delineate. Allo stesso modo, è di fondamentale importanza promuovere la formazione – sempre in tema di parità di genere – nelle e per le aziende.

Che cosa può cambiare nel percepito delle aziende la certificazione di genere?

La certificazione di genere e, quindi, la “misurazione” della parità di genere, spinge le aziende, se correttamente accompagnate verso una transizione “inclusiva”, ad un adeguamento delle proprie attività – a prescindere dal contesto organizzativo – alle politiche rispettose di una parità di genere. Come noto, un’economia rispettosa della parità di genere porta benefici alla società nel suo complesso.

Quale l’apporto dell’università anche e soprattutto nella creazione di percorsi di formazione inclusivi e rivolti alla parità di genere? Quali i temi e le priorità?

UniMi ha un ruolo fondamentale nella promozione di una cultura scientifica in tema di parità di genere. Il contesto di riferimento da cui parte l’Università è quello giuridico: è proprio partendo dal diritto costituzionale che è possibile apprezzare la vincolatività del principio di uguaglianza e di non discriminazione nel contesto aziendale, anche con riferimento alla parità tra i sessi.

Accanto allo studio della normativa di contesto, nell’ambito della quale si inserisce a pieno titolo la legge 162 del 2021, UniMi si è impegnata a promuovere un corso di perfezionamento – “Culture di genere e strategie di promozione della parità nelle aziende e nelle pubbliche amministrazioni” – dedicato in larga parte alle novità introdotte dalla legge del 2021.

Quali le novità emerse con la legge 162/2021?

Le novità introdotte dalla legge 162 del 2021 interessano, in primo luogo, la certificazione di genere. Si tratta di un istituto “premiale”, previsto all’articolo 4, che interessa le aziende, pubbliche e private, a prescindere dalla dimensione della stessa organizzazione.

In secondo luogo, la legge ha introdotto l’obbligo per le aziende pubbliche e private con più di 50 dipendenti di redigere, con cadenza biennale, un rapporto – sottoposto a pubblicazione in ragione della necessità di procedere al più alto grado di diffusione della trasparenza – sulla situazione del personale maschile e femminile.

La legge in questione conosce un’importante forma di attuazione nelle “Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere che prevede l’adozione di specifici KPI (Key Performances Indicator – Indicatori chiave di prestazione) inerenti alle Politiche di Parità di genere nelle organizzazioni”, che delineano i requisiti necessari per accedere alla certificazione di genere.

Quali gli step previsti in un percorso che accompagna la creazione di una certificazione di genere?

Affinché le aziende, pubbliche e private, possano accedere con successo alla certificazione di genere, è necessario che le stesse sperimentino una reale transizione inclusiva. Un cambiamento che possa dirsi “certificabile” e quindi pienamente aderente a quanto prescritto dalle linee guida di riferimento deve potersi fondare su una strategia di gestione, un piano di sviluppo e una comunicazione pienamente aderente al rispetto della parità di genere.

Naturalmente, un buon monitoraggio delle pratiche deve ritenersi strutturale alle azioni appena delineate. Allo stesso modo, è di fondamentale importanza promuovere la formazione – sempre in tema di parità di genere – nelle e per le aziende.

Che cosa può cambiare nel percepito delle aziende la certificazione di genere?

La certificazione di genere e, quindi, la “misurazione” della parità di genere, spinge le aziende, se correttamente accompagnate verso una transizione “inclusiva”, ad un adeguamento delle proprie attività – a prescindere dal contesto organizzativo – alle politiche rispettose di una parità di genere. Come noto, un’economia rispettosa della parità di genere porta benefici alla società nel suo complesso.

Quale l’apporto dell’università anche e soprattutto nella creazione di percorsi di formazione inclusivi e rivolti alla parità di genere? Quali i temi e le priorità?

UniMi ha un ruolo fondamentale nella promozione di una cultura scientifica in tema di parità di genere. Il contesto di riferimento da cui parte l’Università è quello giuridico: è proprio partendo dal diritto costituzionale che è possibile apprezzare la vincolatività del principio di uguaglianza e di non discriminazione nel contesto aziendale, anche con riferimento alla parità tra i sessi.

Accanto allo studio della normativa di contesto, nell’ambito della quale si inserisce a pieno titolo la legge 162 del 2021, UniMi si è impegnata a promuovere un corso di perfezionamento – “Culture di genere e strategie di promozione della parità nelle aziende e nelle pubbliche amministrazioni” – dedicato in larga parte alle novità introdotte dalla legge del 2021.

INDICE DELL’INCLUSIONE, UNO STRUMENTO PER SOLUZIONI CONCRETE

Parlano Lorenza Violini, professoressa ordinaria di Diritto costituzionale, e Giada Ragone, ricercatrice in Diritto costituzionale

Perché è necessario un indice che misuri l’inclusione?

Ragone – Misurare l’inclusione è utile per individuare gli standard migliori verso cui tendere. Il nostro progetto affronta la questione degli indici di inclusione in chiave comparata: consideriamo le esperienze di altri ordinamenti per individuare best practice e tracciare dei modelli, provando a capire come il tema degli indici di inclusione possa essere applicato all’ambito del lavoro, in particolar modo per quanto riguarda la disabilità. In prospettiva, potrebbe essere la base per costruire meccanismi premianti, sia a livello regionale che nazionale come è avvenuto nel caso della l. n. 162 del 2021 sulla certificazione di genere.

L’indice è uno strumento prezioso. Ma dopo averlo analizzato e costruito, quali sono i suoi obiettivi?

Violini – Il lavoro che abbiamo impostato ha grandi ambizioni: tutto quello che faremo deve arrivare a soluzioni pratiche. È questo quello che, spesso, manca: l’ultimo miglio. Il lavoro non deve limitarsi alla ricerca ma deve portare a dei vantaggi concreti. Dobbiamo rispondere alla società civile, anche considerato il grosso investimento che, tramite il PNRR, sostiene il progetto. La grande ambizione, quindi, è costruire qualcosa che ci consenta di dire che abbiamo risolto dei problemi. Non è solo un obiettivo: è un metodo.

Quali potrebbero essere le ricadute positive di una certificazione dell’inclusione?

Ragone – Diversi studi dimostrano come politiche di responsabilità sociale d’impresa efficaci favoriscono un ritorno economico positivo. Ma, al di là di questo aspetto, c’è una ricaduta sulla collettività che non può essere ignorata. Permettere a persone con disabilità di inserirsi nel tessuto lavorativo e sociale non vuol dire solo aiutarle a realizzarsi. Vuol dire anche renderle autonome rispetto a sistemi assistenzialistici, che hanno costi significativi per la società. Il percorso individuale si intreccia quindi con quello della collettività.

Per centrare questi obiettivi, quanto è importante far parte di un hub come Human Hall?

Ragone – Più si studiano problemi complessi e più importante è avere un approccio olistico, interdisciplinare. Siamo abituati a studiare approfonditamente aspetti specifici di ampie problematiche, ma i problemi non sono separati. Hanno connessioni. Human Hall permette di arricchire lo scambio. Per l’Indice dell’inclusione, ad esempio, è fondamentale comprendere gli orientamenti giurisprudenziali in materia di inclusione. Sarà quindi preziosa la collaborazione con l’Osservatorio giuridico permanente sulla normativa antidiscriminatoria, coordinato dal professor Arconzo.

Violini – Dobbiamo imparare a essere profondamente coordinati. Il nostro non è più un lavoro che si può fare nel chiuso di una biblioteca. Deve nutrirsi di un continuo confronto. Serve la più ampia condivisione possibile, anche nella pratica di ricerca, che spesso si contraddistingue per un certo isolamento. Human Hall ha quindi un valore che andrà ben oltre il perimetro e la durata dei singoli progetti.

Perché è necessario un indice che misuri l’inclusione?

Ragone – Misurare l’inclusione è utile per individuare gli standard migliori verso cui tendere. Il nostro progetto affronta la questione degli indici di inclusione in chiave comparata: consideriamo le esperienze di altri ordinamenti per individuare best practice e tracciare dei modelli, provando a capire come il tema degli indici di inclusione possa essere applicato all’ambito del lavoro, in particolar modo per quanto riguarda la disabilità. In prospettiva, potrebbe essere la base per costruire meccanismi premianti, sia a livello regionale che nazionale come è avvenuto nel caso della l. n. 162 del 2021 sulla certificazione di genere.

L’indice è uno strumento prezioso. Ma dopo averlo analizzato e costruito, quali sono i suoi obiettivi?

Violini – Il lavoro che abbiamo impostato ha grandi ambizioni: tutto quello che faremo deve arrivare a soluzioni pratiche. È questo quello che, spesso, manca: l’ultimo miglio. Il lavoro non deve limitarsi alla ricerca ma deve portare a dei vantaggi concreti. Dobbiamo rispondere alla società civile, anche considerato il grosso investimento che, tramite il PNRR, sostiene il progetto. La grande ambizione, quindi, è costruire qualcosa che ci consenta di dire che abbiamo risolto dei problemi. Non è solo un obiettivo: è un metodo.

Quali potrebbero essere le ricadute positive di una certificazione dell’inclusione?

Ragone – Diversi studi dimostrano come politiche di responsabilità sociale d’impresa efficaci favoriscono un ritorno economico positivo. Ma, al di là di questo aspetto, c’è una ricaduta sulla collettività che non può essere ignorata. Permettere a persone con disabilità di inserirsi nel tessuto lavorativo e sociale non vuol dire solo aiutarle a realizzarsi. Vuol dire anche renderle autonome rispetto a sistemi assistenzialistici, che hanno costi significativi per la società. Il percorso individuale si intreccia quindi con quello della collettività.

Per centrare questi obiettivi, quanto è importante far parte di un hub come Human Hall?

Ragone – Più si studiano problemi complessi e più importante è avere un approccio olistico, interdisciplinare. Siamo abituati a studiare approfonditamente aspetti specifici di ampie problematiche, ma i problemi non sono separati. Hanno connessioni. Human Hall permette di arricchire lo scambio. Per l’Indice dell’inclusione, ad esempio, è fondamentale comprendere gli orientamenti giurisprudenziali in materia di inclusione. Sarà quindi preziosa la collaborazione con l’Osservatorio giuridico permanente sulla normativa antidiscriminatoria, coordinato dal professor Arconzo.

Violini – Dobbiamo imparare a essere profondamente coordinati. Il nostro non è più un lavoro che si può fare nel chiuso di una biblioteca. Deve nutrirsi di un continuo confronto. Serve la più ampia condivisione possibile, anche nella pratica di ricerca, che spesso si contraddistingue per un certo isolamento. Human Hall ha quindi un valore che andrà ben oltre il perimetro e la durata dei singoli progetti.

Marilisa D’Amico, Lorenza Violini, Giada Ragone

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