Tutti i progetti di Human Hall

MIGRAZIONI E DIRITTI UMANI

Quali, i diritti dei migranti? E come definirli per conferire alle persone che approdano nel nostro Paese dignità di individui? Come tutelarli? Proprio dei diritti umani dei migranti si occupa questo progetto, che include le attività del CRC Migrazioni e Diritti umani, il centro di ricerca che, attivo dal 2020, è ormai un riferimento a livello nazionale e internazionale per le azioni di ricerca sui temi legati a migrazioni e diritti umani.

TEAM

Cosa facciamo

IL PROGETTO IN SINTESI

INIZIATIVE

LA MIGRAZIONE, UN TEMA INTERDISCIPLINARE

Parla Cecilia Siccardi, ricercatrice in Diritto costituzionale

Da dove nasce il progetto Migrazione e Diritti umani? 

Nasce dal Centro di ricerca Migrazioni e Diritti umani, fondato nel 2020 dalla professoressa D’Amico con l’obiettivo di valorizzare le competenze interdisciplinari che nell’Università degli Studi di Milano lavorano sul tema delle migrazioni. 

 

Perché è necessario un approccio interdisciplinare di questo tipo?

Perché un tema così ampio e complesso come le migrazioni non può essere affrontato da una sola disciplina. Deve spaziare dalla comprensione del fenomeno migratorio ai diritti umani fino all’inclusione sociale. È quindi importante il contributo di discipline diverse: giuridiche, storiche, sociologiche, psicologiche e medico-legali. 

 

Che valore assume Human Hall per il Centro di ricerca?

Il Centro di ricerca Migrazioni e Diritti umani è confluito in Human Hall perché le sue attività e il suo approccio sono coerenti con quelli dell’Hub. È un’opportunità per ampliare ulteriormente e potenziare l’interdisciplinarietà, anche grazie alla possibilità di allargare la rete dei partner. 

 

Quali sono gli obiettivi del progetto?

Il progetto si muoverà lungo due filoni. Il primo, coordinato dalla professoressa Osti, include un corso in lingua inglese sui diritti costituzionali dei migranti, anche in una prospettiva comparata, nell’ambito di un nuovo corso di laurea in Migration studies, che sarà attivato l’anno prossimo. Il secondo filone, grazie al lavoro del dottor Rossi, studierà le migrazioni in una prospettiva storica. Perché a volte ce lo dimentichiamo, ma migriamo da sempre. 

 

Da dove nasce il progetto Migrazione e Diritti umani?

Nasce dal Centro di ricerca Migrazioni e Diritti umani, fondato nel 2020 dalla professoressa D’Amico con l’obiettivo di valorizzare le competenze interdisciplinari che nell’Università degli Studi di Milano lavorano sul tema delle migrazioni.

Perché è necessario un approccio interdisciplinare di questo tipo?

Perché un tema così ampio e complesso come le migrazioni non può essere affrontato da una sola disciplina. Deve spaziare dalla comprensione del fenomeno migratorio ai diritti umani fino all’inclusione sociale. È quindi importante il contributo di discipline diverse: giuridiche, storiche, sociologiche, psicologiche e medico-legali.

Che valore assume Human Hall per il Centro di ricerca?

Il Centro di ricerca Migrazioni e Diritti umani è confluito in Human Hall perché le sue attività e il suo approccio sono coerenti con quelli dell’Hub. È un’opportunità per ampliare ulteriormente e potenziare l’interdisciplinarietà, anche grazie alla possibilità di allargare la rete dei partner.

Quali sono gli obiettivi del progetto?

Il progetto si muoverà lungo due filoni. Il primo, coordinato dalla professoressa Osti, include un corso in lingua inglese sui diritti costituzionali dei migranti, anche in una prospettiva comparata, nell’ambito di un nuovo corso di laurea in Migration studies, che sarà attivato l’anno prossimo. Il secondo filone, grazie al lavoro del dottor Rossi, studierà le migrazioni in una prospettiva storica. Perché a volte ce lo dimentichiamo, ma migriamo da sempre.

 

MIGRAZIONI E DIRITTI UMANI: UN INDISPENSABILE APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE

Parlano Alessandra Osti, professoressa associata di Diritto pubblico comparato, e Filippo Rossi, ricercatore in Storia del diritto medievale e moderno

Perché intrecciare migrazioni e diritti umani?
Rossi – Le migrazioni e i diritti umani sono elementi portanti nella costituzione delle società. Il tema delle migrazioni è quello in cui l’inclusività – o, meglio, la non inclusività – si manifesta in modo più evidente. È in questo contesto che emerge il cortocircuito del concetto di “altro”, con riferimento al quale le discriminazioni intersezionali sono più visibili e i diritti meno garantiti.

Migrazioni e Diritti umani è uno dei task più trasversali. Coinvolge discipline giuridiche, storiche, medico-legali…
Rossi – Il modo in cui a tutt’oggi è concepito l’approccio delle discipline è limitante perché eccessivamente tassonomico. Le prospettive settoriali si sono dimostrate insufficienti nel capire e risolvere problemi concreti. Il progetto Human Hall sta scardinando questo approccio per puntare sulla multidisciplinarietà e creare una sintesi di competenze.

Osti – Spesso manca una visione d’insieme. Confrontarsi con realtà diverse permette di comprendere meglio le finalità del proprio studio. Nel mio caso, ad esempio – da comparatista – è importante anche conoscere le origini storiche dei fenomeni e la loro evoluzione.

In che modo il diritto, nello specifico comparato, e la storia del diritto si supportano?

Osti – La comparazione è preziosa perché la conoscenza passa non solo dal proprio ordinamento giuridico ma anche dal confronto con gli altri. Permette quindi di costruire modelli, individuare best practices o anche semplicemente evidenziare problematiche comuni. Da questo punto di vista, e non solo, avere una prospettiva storica è essenziale. Perché la storia è maestra: le migrazioni non sono un fenomeno nuovo.

Rossi – Lo storico del diritto parte da lontano e isola delle linee di continuità o di discontinuità tra ieri e oggi; ha la funzione di spiegare il moto di certe dinamiche, grazie ai principi che la storia rivela e che proietta sul presente. Tra le linee di continuità, vi è il fenomeno migratorio come rapporto tra la comunità di arrivo o di transito e l’altro, come elemento estraneo alla comunità.

Quanto è importante, per un progetto che punta in modo così deciso sulla multidisciplinarietà, far parte di un hub articolato come Human Hall?

Rossi – Non è importante: è indispensabile. La multidisciplinarietà è la premessa metodologica di tutto Human Hall. Dialogare con chi si occupa di soccorso in mare, di gestione dei campi di accoglienza, di riconoscimento dei morti, permette di superare la tassonomia tradizionale, aprendo a discipline nuove, capaci di comprendere più a fondo fenomeni complessi.

Osti – Analizzare i problemi da prospettive diverse è una ricchezza. Un conto è studiare per mero intento di conoscenza, un conto è farlo avendo evidenza di problematiche (anche pratiche) che riguardano altre discipline. Human Hall crea sinergie. Rappresenta un modo nuovo di fare ricerca. E punta ad avere ricadute concrete.

Maurizio Ambrosini, Cecilia Siccardi, Filippo Rossi, Alessandra Osti, Cristina Cattaneo, lorenzo franceschetti

INDIVIDUARE LE TORTURE PER ACCELERARE LE RICHIESTE D'ASILO

PARLA CRISTINA CATTANEO, PROFESSORESSA ORDINARIA DI MEDICINA LEGALE 

Il progetto Migrazioni e Diritti umani si occuperà di segni di tortura. In che modo?

Il progetto punta a coniugare giurisprudenza e medicina legale per cercare di definire protocolli migliori, capaci di supportare i richiedenti asilo nella possibilità di ottenerlo. Anche attraverso il riconoscimento dei segni di tortura.

Come funziona, oggi, la procedura per valutare la richiesta di asilo?

La richiesta viene presentata alla Prefettura, che deve verificare ciò che il richiedente asilo denuncia di aver subito. Le violenze fisiche e psichiche, infatti, lasciano segni, che vengono rapportati con i racconti del richiedente e raccolti in quello che – con una terminologia impropria – viene chiamato “certificato di tortura”. Su questo punto, però, ci sono due zone grigie, una di natura clinica e l’altra di natura giuridica.

Come riuscite a riconoscere i segni di tortura?

I modi di torturare, di fare del male, sono diventati più subdoli, più sottili. Spesso pensiamo che la tortura lasci segni evidenti, come quelli tipici delle percosse. In molti casi, invece, si tratta di lesioni meno evidenti, che vanno cercate tramite tecniche evolute e poco invasive come l’ecografia e le spettrometrie.

Ad esempio?

Tra i segni “sottili”, ci sono tutti quelli di sospensione. Si tiene il torturato appeso al soffitto o a un supporto legando i polsi. Queste posizioni forzate generano difficoltà respiratorie e sofferenze alle articolazioni. Un altro esempio è l’elettrocuzione mediante piccoli elettrodi, a volte su superfici bagnate. Si tratta di scariche che provocano un dolore enorme ma, spesso, senza lasciare cicatrici. In questi casi, la tortura può essere individuata attraverso residui di metalli generati dall’elettrocuzione.
Le torture, poi, possono avvenire iniettando sostanze naturali, che di solito un medico legale non cerca. Ricordo un caso in cui l’iniezione, a base di lime e peperoncino, aveva creato solo piccole cicatrici. Ma il dolore dev’essere stato fortissimo. Un altro esempio è obbligare a rimanere con le palpebre aperte sotto il sole cocente. Come si possono individuare i segni di torture come questa? È difficilissimo. Ma è necessario farlo e fare ricerca per offrire nuove chiavi di lettura, dalle quali può dipendere la concessione di asilo politico.

E per quanto riguarda la “zona grigia” giuridica?

Riguarda il modo in cui la giurisprudenza utilizza le informazioni cliniche. Il progetto, grazie alla collaborazione della Prefettura, analizzerà le diagnosi medico-legali e i provvedimenti emessi in centinaia di casi. In questo modo, sarà possibile valutare come la “lettura del corpo” ha influito sul percorso per ottenere l’asilo. E come questo percorso potrebbe essere migliorato.

Insomma, serve un protocollo più chiaro…

Non c’è mai stata, fino a oggi, una ricognizione sull’interpretazione che i giuristi fanno del dato clinico. Si tratta di un fenomeno ancora poco conosciuto e indagato. Si pensa che la certificazione di tortura sia semplice, quando in realtà è un percorso complesso, peraltro non obbligatorio. I protocolli sono deboli e disomogenei. Eppure incidono profondamente. Secondo uno studio pubblicato dal Jama, il Journal of the American Medical Association, le richieste di asilo vengono accolte nel 79-89% dei casi quando viene effettuata una valutazione medico-legale. Un tasso più che doppio rispetto alla media nazionale statunitense, del 37,5%. Di fatto, le probabilità di ottenere asilo dipendono dal luogo e dalla Prefettura in cui si presenta la richiesta.
Ecco perché serve un protocollo più forte, solido, vincolante. Con indicatori chiari sui segni di tortura, anche per quelli meno evidenti. E sarà fondamentale formare gli operatori che si occupano delle richieste d’asilo dal punto di vista giuridico, clinico e amministrativo. Dopo l’analisi, sarà questo il passo successivo del nostro progetto.

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