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PARITÀ DI GENERE E VIOLENZA CONTRO LE DONNE
La violenza di genere è, in Italia, una vera e propria emergenza: nel 2022 ha prodotto 125 casi di femminicidio, 103 dei quali in ambito familiare o affettivo. Sviluppare azioni di contrasto alla violenza di genere è il focus di questo progetto, che si prefigge di approfondire l’analisi del fenomeno attraverso la raccolta di dati sul territorio di Milano e promuove percorsi di alta formazione, diretti soprattutto a magistrati, docenti, operatori e operatrici di settore.
Accanto all’attività di ricerca, il progetto mira anche a sensibilizzare soprattutto i più giovani sui falsi stereotipi connessi alla violenza di genere e alla vittimizzazione secondaria, attraverso la creazione di un breviario destinato agli studenti delle scuole medie.
TEAM
Violenze contro la donna: il libro per approfondire le problematiche giuridiche di un fenomeno che non conosce flessioni
Nonostante i progressi compiuti, anche grazie ai molteplici interventi legislativi, in Italia la situazione della violenza sulle donne rimane drammatica.
Il libro “Le violenze contro la donna” si pone come strumento di approfondimento a partire dalle riflessioni di alcuni/e studiosi/e di diritto costituzionale sulle principali problematiche giuridiche del fenomeno.
A cura di: Marilisa D’Amico, Costanza Nardocci, Stefano Bissaro
Dizionario breve sugli stereotipi associati alla violenza di genere e alla vittimizzazione secondaria
Il Dizionario breve sugli stereotipi associati alla violenza di genere e alla vittimizzazione
secondaria si rivolge a studentesse e studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado,
presentando, in modo semplice e diretto, ma non semplicistico, alcuni degli stereotipi principali
associati alla violenza di genere e alla vittimizzazione secondaria, al fine di stimolare un autonomo pensiero critico. Il linguaggio, lo stile e le illustrazioni grafiche si propongono di veicolare in modo diretto e leggero un messaggio informativo finalizzato ad una maggior presa di coscienza sulla pervasività e la pericolosità di stereotipi errati che minano la credibilità delle vittime, giustificano i colpevoli e, in generale, rendono la nostra società più iniqua.
A cura di: Anna De Giuli – Irene Pellizzone – Francesca Poggi
I NOSTRI PARTNER
Associazioni, enti culturali, fondazioni, aziende che supportano il progetto Human Hall
Cosa facciamo
IL PROGETTO IN SINTESI
INIZIATIVE
STEREOTIPI E VIOLENZA DI GENERE
Parla Francesca Poggi, ordinaria di Filosofia del diritto
Quale il ruolo degli stereotipi in un mondo iper connesso?
Gli stereotipi sono atteggiamenti, attitudini, ruoli che vengono attribuiti a una persona solo in quanto appartenente a un certo gruppo. Non sono di per sé negativi: lo stereotipo è una categoria epistemologica che ci aiuta nelle interazioni con persone che non conosciamo. Ad esempio, se dovessi fare un regalo a un mio collega che non conosco bene, è probabile che gli regalerei un libro. Se invece il regalo è per un bambino di cinque anni, probabilmente sceglierei un giocattolo. Mi faccio guidare dal gruppo a cui quella persona appartiene. A livello sociale, però, gli stereotipi possono diventare un problema, con effetti ghettizzanti e discriminatori, molti dei quali associati alle donne.
Perché tra gli obiettivi del progetto c’è un breviario sugli stereotipi di genere?
Per contrastare, in modo fruibile e leggero, con un linguaggio semplice, temi complessi come la violenza di genere e la vittimizzazione secondaria. Ogni lemma del breviario è associato a uno stereotipo, che incide sulla strutturazione della donna quale vittima e dunque passibile di violenza: dagli stereotipi sulla gelosia maschile, che ne giustificano gli atteggiamenti, fino a quello dell’amore assolutizzante.
Come mai si è scelto di puntare sui ragazzi delle medie?
Perché gli stereotipi e la violenza di genere sono temi strutturali, che esprimono gli equilibri di potere di una società. Ed essendo strutturali, vanno combattuti soprattutto a livello educativo. Alle medie, i ragazzi e le ragazze hanno già un bagaglio sufficiente per comprendere queste tematiche, ma non hanno ancora preso una posizione netta sul tema.
Quanto è importante che un progetto come questo sia inserito in un hub che tocca discipline diverse?
Tantissimo, perché i progetti sono strettamente correlati. Il task che si occupa di Donne e lavoro, ad esempio, si confronta con gli stessi stereotipi che riguardano la violenza di genere. Oppure guardiamo ai progetti che si occupano di migranti, con le donne che sono molto esposte alla violenza di genere. Non conoscono la lingua, non lavorano anche per cause culturali e tendono quindi a essere isolate dalla società in cui entrano. Ecco perché un approccio integrato è fondamentale.
Quale il ruolo degli stereotipi in un mondo iper connesso?
Gli stereotipi sono atteggiamenti, attitudini, ruoli che vengono attribuiti a una persona solo in quanto appartenente a un certo gruppo. Non sono di per sé negativi: lo stereotipo è una categoria epistemologica che ci aiuta nelle interazioni con persone che non conosciamo. Ad esempio, se dovessi fare un regalo a un mio collega che non conosco bene, è probabile che gli regalerei un libro. Se invece il regalo è per un bambino di cinque anni, probabilmente sceglierei un giocattolo. Mi faccio guidare dal gruppo a cui quella persona appartiene. A livello sociale, però, gli stereotipi possono diventare un problema, con effetti ghettizzanti e discriminatori, molti dei quali associati alle donne.
Perché tra gli obiettivi del progetto c’è un breviario sugli stereotipi di genere?
Per contrastare, in modo fruibile e leggero, con un linguaggio semplice, temi complessi come la violenza di genere e la vittimizzazione secondaria. Ogni lemma del breviario è associato a uno stereotipo, che incide sulla strutturazione della donna quale vittima e dunque passibile di violenza: dagli stereotipi sulla gelosia maschile, che ne giustificano gli atteggiamenti, fino a quello dell’amore assolutizzante.
Come mai si è scelto di puntare sui ragazzi delle medie?
Perché gli stereotipi e la violenza di genere sono temi strutturali, che esprimono gli equilibri di potere di una società. Ed essendo strutturali, vanno combattuti soprattutto a livello educativo. Alle medie, i ragazzi e le ragazze hanno già un bagaglio sufficiente per comprendere queste tematiche, ma non hanno ancora preso una posizione netta sul tema.
Quanto è importante che un progetto come questo sia inserito in un hub che tocca discipline diverse?
Tantissimo, perché i progetti sono strettamente correlati. Il task che si occupa di Donne e lavoro, ad esempio, si confronta con gli stessi stereotipi che riguardano la violenza di genere. Oppure guardiamo ai progetti che si occupano di migranti, con le donne che sono molto esposte alla violenza di genere. Non conoscono la lingua, non lavorano anche per cause culturali e tendono quindi a essere isolate dalla società in cui entrano. Ecco perché un approccio integrato è fondamentale.
Francesco Poggi, Irene Pellizzone, Costanza Nardocci
LA “SINDROME DELLA MADRE MALEVOLA” NEI TRIBUNALI ITALIANI
Parla Irene Pellizzone, professoressa associata di Diritto costituzionale
Su cosa si concentra l’anima giuridica del progetto?
Quando si esplora il fenomeno della di violenza di genere, occorre avere un approccio aperto alla contaminazione: diritto, psicologia, sociologia, medicina, filosofia, sono solo alcune delle branche del sapere che devono convergere. Inoltre, tutti gli strumenti forniti dagli studi in questi settori devono attecchire in un ambiente in cui si riconosce e pratica la parità di genere.
Lo abbiamo imparato subito, quando, sei anni fa, con la prof.ssa Marilisa D’Amico abbiamo impostato programmi di attività didattiche post-laurea sul tema, e poi, successivamente, corsi universitari e moduli didattici destinati alle scuole.
Le competenze devono essere tra loro complementari, come cerchiamo di insegnare a chi partecipa ai nostri corsi e come abbiamo messo in evidenza nel sito che utilizziamo per diffondere e divulgare notizie di cronaca e provvedimenti giudiziari in tema di violenza di genere, rielaborati dai nostri studenti e studentesse, per poter essere fruibili anche dai non addetti ai lavori: l’Osservatorio sulla violenza contro le donne di UniMi.
Da questa premessa partono i nostri progetti: la sfida che intendiamo raccogliere è di aprirci al mondo di enti, istituzioni e associazioni, esattamente con questa chiave di lettura.
Ci fa qualche esempio?
Nel nostro ordinamento la magistratura civile, quando si occupa separazioni, è molto sensibile all’alienazione parentale. Si tratta di una dinamica psicologica nella quale un genitore induce il minore a escludere l’altro. Per verificare l’alienazione parentale, i giudici si avvalgono di consulenze tecniche d’ufficio, che spesso evidenziano problemi (non potrebbe essere altrimenti, se vi è un maltrattamento in corso) e talvolta, spingendo alle estreme conseguenze le risultanze, portano all’allontanamento del minore dalla famiglia. Una distorsione per la quale l’Italia è già stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani. Nel progetto, tra le altre cose, vogliamo approfondire questo tema, che spesso indica una discriminazione di genere. Infatti l’alienazione genitoriale viene tipicamente imputata alle donne, tanto da essere definita in altri termini “sindrome della madre malevola”, e non tiene conto di fattori come la violenza di genere nel contesto familiare.
Altro esempio. Per sconfiggere il fenomeno occorre partire dalle scuole, insegnando che il genere femminile non è subordinato a quello maschile, perché è proprio questo il terreno in cui prospera la cultura per cui è giusto esercitare violenza sulle donne. Uno dei nostri intenti è dunque offrire spunti al corpo docente delle scuole di ogni grado, affinché in tutte le materie vengano fatti collegamenti con la parità di genere e si possano sconfiggere gli stereotipi e le discriminazioni più nascosti, ma anche più insidiosi.
Come intende procedere l’attività progettuale?
Primo fronte, quello dell’alienazione parentale. Il primo passo si è avviato sulla spinta di una proficua collaborazione con l’avvocata Silvia Belloni e l’associazione del terzo settore “REA, Reagire alla violenza”. L’obiettivo è approfondire l’analisi del fenomeno attraverso la raccolta di dati sul territorio, quanto mai necessari oggi, visto che mancano studi statistici in questo ambito e che ci chiede di reperire i dati stessi la convenzione di Istanbul. Il percorso di ricerca prevede l’individuazione dei provvedimenti del Tribunale di Milano (con l’idea di allargarci anche alla Corte d’Appello di Milano) sull’allontanamento di minori dalla madre o dalla famiglia ed un loro esame e classificazione attraverso una serie di fattori. L’indagine permetterà di esaminare le ragioni che portano all’allontanamento, il contesto economico, familiare e sociale, il ruolo di giudici e regole processuali nonché delle consulenze psicologiche, la tipologia di enti cui sono affidati i minori, e permetterà di verificare se ci sono violenze.
Secondo fronte, quello delle scuole. Intendiamo, in collaborazione, anche qui, con associazioni che operano nel campo della violenza di genere, continuare con l’attività didattica rivolta ai e alle più giovani, andando nelle scuole a insegnare la parità di genere e gli strumenti per uscire dalla violenza contro le donne; sulla scorta dell’esperienza fatta, vorremmo elaborare dei programmi esportabili sempre con la collaborazione di enti no-profit già attivi nel settore e pedagogisti, per affinare strumenti didattici nuovi e incisivi.
I progetti avranno solo una valenza locale?
L’idea è partire da Milano per espandersi. Rispetto all’analisi dei provvedimenti giudiziari di allontanamento dei minori dalla madre, il possibile coinvolgimento della Corte d’Appello (il cui distretto è formato anche dai Tribunali ordinari di Busto Arsizio, Como, Lecco, Lodi, Monza, Pavia, Sondrio e Varese), con cui speriamo di lavorare a breve, è immaginato proprio in questa direzione. Poi, confidiamo coinvolgere altri distretti, anche in altre regioni d’Italia, con cui abbiamo già allacciato saldi contatti per altre iniziative.
Le statistiche che emergeranno dalla ricerca saranno preziose a livello generale. Grazie ai dati sarà possibile individuare una lista di fattori di rischio delle consulenze tecniche d’ufficio, da distribuire nei tribunali. Sempre partendo dai dati, abbiamo l’obiettivo di creare percorsi di formazione per magistrati (pensiamo alla Scuola superiore della Magistratura), docenti, operatori e operatrici di settore, che diffondano la cultura gender sensitive, favoriscano la circolazione di buone prassi e discutano il possibile uso distorto delle consulenze tecniche sull’alienazione parentale. Potrebbe essere molto utile anche parlarne nelle scuole, provando ad avvicinare le famiglie.
Anche per quanto riguarda le lezioni nelle scuole, l’idea è partire da Milano per impostare un metodo didattico esportabile in tutta Italia.
Il progetto si avvale della collaborazione di associazioni del terzo settore…
Oltre a REA, che ci ha offerto una spinta preziosa, le ipotesi di collaborazione con associazioni del terzo settore sono molto concrete: nei nostri insegnamenti collaboriamo già con i centri antiviolenza, altre associazioni ed istituzioni (pensiamo alla magistratura e alle forze dell’ordine) che mettono in atto azioni a sostegno della donna che subisce violenza, dei suoi figli, o dell’uomo maltrattante. È una collaborazione importantissima anche per il progetto. Soprattutto per due motivi: tutti questi enti hanno (sebbene, nel caso delle istituzioni pubbliche, in modo ancora insufficiente) già uno sguardo gender sensitive; e poi, rispettando il principio assoluto dell’anonimato, possono aiutarci a raccogliere dati che possono allargare la visuale rispetto agli stereotipi di genere.